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Si è abituati a interpretare l'architettura come espressione artistica o come immagine di un regime. Ancor più nel Novecento queste due chiavi di lettura hanno condizionato architetti e storici, e persino l'opinione pubblica. Eppure, forse non è un caso, l'architettura e la città raramente rientrano tra i parametri di riferimento quando si tenta di trarre un bilancio di questo straordinario secolo, cercando di individuarne caratteri, scansioni, inizio e fine. Ribaltando la prospettiva, Carlo Olmo, una delle voci più autorevoli in materia, propone al lettore di seguire in queste pagine il significato assunto dall'architettura nel definire i contorni, fisici e giuridici, del mondo in cui viviamo, i diritti che lo costruiscono, il limite, davvero mobile, tra pubblico e privato. Ma propone anche di interrogarsi su una professione che nel Novecento ha goduto di una singolare parabola tecnica e artistica, che ha costruito e difeso un'idea di modernità quanto mai elitaria e insieme dichiaratamente etica, e che ha avuto con l'autorità un rapporto del tutto specifico, ben al di là delle retoriche sui regimi.